Sono stati pubblicati recentemente due nuovi libri su Luciano Bianciardi, uno di Tiziano Arrigoni, La dinamite nella valigia: viaggio nell’Italia di Luciano Bianciardi, l’altro di Giorgio Costa, Il monoscopio opaco: riflessioni su Luciano Bianciardi.
Così leggiamo nella presentazione editoriale del libro:
“In fondo non era mai andato via», scrive Maria Jatosti parlando di Bianciardi, alla fine del viaggio della sua vita. E allude a Grosseto e alla Maremma.
In fondo Bianciardi era uno che non aveva mai trovato lo spazio esatto del suo puzzle di luoghi e persone, insoddisfatto, cosciente di tutto, uno che sperava in un futuro migliore.
Aveva la consapevolezza ironica tipica di chi dentro di sé ha capito come va il mondo.
Uno fedele a se stesso, mentre il mondo intorno cominciava a vivere di favoritismi: lui voleva restare “illeso”, fedele ai braccianti e ai minatori della sua terra, voleva cambiare secondo logiche e non secondo cosa facesse più comodo.
Da una parte era riuscito a farsi rispettare come scrittore affermato nella Milano della “vita agra”, dall’altra non sapeva che farsene di questo rispetto.
Si potrebbe definire uno che non si sentiva mai arrivato e forse perché la stazione è un movimento continuo e mai un arrivo definitivo in un’Italia in profonda trasformazione”.
Così nella presentazione editoriale del libro:
“Un ‘Monoscopio opaco’ potrebbe essere la trasposizione dell’Io di Bianciardi, proiettato e frantumato attraverso un viaggio iperbolico nei primi decenni del dopoguerra.
Un viaggio in bilico tra la provincia grossetana e Milano.
Una provincia, solo in apparenza sonnacchiosa, carica di simboli culturali tradizionali e innovativi allo stesso tempo, percorsa con il Bibliobus errante, tra i suoi grandi spazi, con i cieli di Kansas City, i suoi minatori eroi, e spesa le domeniche al cineclub.
E una Milano nevrotica, quasi schizofrenica, con la gente che giunge a fiumi, ogni mattina, e invade le strade, i negozi, gli uffici. Con le sue case editrici, popolate da intellettuali persi in lunghe riunioni a dissertare sull’opportunità delle ‘virgolette’.
Tutto quel pensare, soffrire, agire e vivere è scrutato dall’ ‘occhio giusto’ di Bianciardi che si affaccia sul mondo attraverso il monoscopio della neonata Tv.
Impossibile comprendere la sua dis-integrata personalità senza ricorrere a un affresco ampio e partecipato di quegli anni, popolati da luoghi, testi, episodi, giornali, film, trasmissioni, canzoni, tutti evocativi di uno straordinario periodo in continua evoluzione, in febbrile trasformazione creativa.
In quel mondo si è mosso Bianciardi, un precursore tradizionalista, un innovatore senza un programma, un fotografo senza macchina fotografica, un bohemienne senza tavolozza, un flaneur senza città, un rivoluzionario senza un manifesto, insomma, l’antitetico per antonomasia”.