Un articolo del direttore del comitato scientifico della Fondazione, prof.ssa Lucia Matergi
IL TIRRENO, 14 NOVEMBRE
«Io voglio un funerale all’antica, io l’ho scritto nel testamento, un funerale laico, ma d’una certa solennità. Laico, ma tradizionale. Non ci voglio i preti, ma gli ex preti ce li voglio, ci voglio quelli che hanno buttato la tonaca alle ortiche e si sono fatti comunisti, pur restando preti nell’animo. Ne voglio quattro, di questi preti spretati e togliattizzati, e poi voglio due cavalli neri col pennacchio in capo … Deve essere un bel funerale. Dietro venga chi voglia, tranne le segretariette secche. Loro no. Poi si scordino pure di me, ma il funerale lo esigo bello, solenne e, come ho detto sopra, laico …».
Così Luciano Bianciardi prefigurava la propria morte all’interno de “La vita agra”, il suo capolavoro, o almeno il suo romanzo più conosciuto, nel 1962. Sarebbe morto nemmeno dieci anni dopo, e la sua morte presenta tutti gli stilemi del suicidio, se assumiamo per buona la frase del suo amico Cesare Vacchelli: «C’è chi sta male perché beve, ma lui beveva perché stava male».Eppure in quel funerale immaginato possiamo intravedere tutta la potenza caricaturale sprigionata dalle vene del sarcasmo e del masochismo, mischiate insieme in un tentativo affannoso di esorcizzare l’horror vacui, che in Bianciardi non ammette fughe verso altre vite, ma cerca il riscatto nei propri mezzi, quelli dell’immaginazione, ovvero della scrittura.
Non è ancora la prova di una volontà di morte, piuttosto la ribellione beffarda alla sua incombenza. Quel funerale dalle forme della danza macabra non ebbe una sua realizzazione a Milano, dove ormai nel 1971 lo scrittore maremmano era quasi un estraneo, in seguito al suo ritiro a Rapallo, tanto da essere accompagnato un corteo sparuto, assenti i tanti intellettuali con cui Bianciardi aveva condiviso l’ambiente di Brera.
Ma a Grosseto il funerale ci fu e fu sentito e partecipato. In fondo era la prima volta che Luciano rientrava in città alla luce del sole, dopo anni di esilio volontario, interrotto da sporadiche escursioni corsare, il cui senso è condensato in queste righe, scritte nel 1964: «Eppure Kansas City è una città tremendamente seria, e io ci torno ogni volta con un po’ di magone e parecchio rimorso: d’esserne fuggito nottetempo senza domandare il permesso, e portando via parecchia roba, quasi tutto quel che ho …».
E la sua città lo accoglie, da morto, con gli onori che sono d’obbligo verso un cittadino che è fuggito, ha rifiutato la sicurezza delle origini, ha tradito, ma è pur sempre un cittadino che si è fatto onore, ha portato lustro, è una celebrità.
La sua città lo onora per poterlo dimenticare senza rimorso.
Un oblio che in tempi recenti si sta dissipando, in parallelo con il recupero di attenzione da parte del mondo della cultura nazionale, e non solo, per la figura di Luciano Bianciardi, intellettuale poliedrico e originale, uno tra i pochi scrittori italiani che ha trattato i temi del lavoro, per esempio, entrando dentro le sue problematiche effettive senza rifugiarsi nel limbo spaziale tipico della maggior parte della narrativa nostrana.
VERSO Il 2022
E ora il centenario della nascita
Si preparano le celebrazioni
GROSSETO. In questo felice ritorno di interesse per Bianciardi cala la ricorrenza del centenario della sua nascita. «E la Fondazione a lui intitolata – anticipa Lucia Matergi, direttrice della Fondazione stessa – si accinge a celebrare il 2022 con un programma fitto di iniziative e studiato per rendere omaggio alla sua versatilità: non solo convegni, che pure saranno numerosi e di alto livello, visto che sono coinvolte tutte le università toscane, oltre ai tre atenei milanesi». «Prevediamo – dettaglia la direttrice – riedizioni e pubblicazioni di inediti, nell’ambito delle lettere e degli articoli giornalistici, ma anche edizioni di opere di gusto alternativo, con l’obiettivo di coinvolgere non solo i consueti addetti ai lavori ma anche un pubblico più aperto e vario, di generazioni e orientamenti culturali diversi: pensiamo alla formula del graphic novel, ai concorsi per videomakers, agli spettacoli dal vivo, dalle collaudate letture alle inedite esibizioni di rappers su tema bianciardiano. Un altro settore di punta per il centenario sarà quello delle mostre d’arte, interessante squarcio sulla vita milanese di Bianciardi, legata a quel mondo pittorico e pittoresco che aveva fatto del bar Giamaica il suo luogo preferito di aggregazione. Un programma esteso e ambizioso, che la Fondazione Luciano Bianciardi porta avanti con preziosi compagni di viaggio, dai Comuni della zona, a partire da Grosseto, alla Regione Toscana, fino al Ministero della cultura. Morte e nascita di un personaggio da conoscere sempre di più».