Giovedì 12 dicembre, ore 18, Sede Fondazione Bianciardi via Adda 32 Grosseto. Con Nino Muzzi, traduttore, esperto di traduzione poetica.
A duecento anni dalla stesura di uno dei testi più autorevoli e noti della letteratura non solo italiana, è legittimo chiedersi cosa significa leggere oggi “L’Infinito”, fuori dalle mitologie che lo soffocano come avviene di norma per tutti i grandi classici.
Che occorra una traduzione è ovvio e quindi il bicentenario può diventare l’occasione per ripercorrere in ordine sparso la sua ricezione all’estero, attraverso la lettura di alcune sue traduzioni in francese, inglese, tedesco e spagnolo dove si è tentato di riprodurre quella enorme dilatazione di sentimenti e di pensieri contenuta in quel piccolo spazio di appena una pagina di quaderno su cui il poeta, poco più che ventenne, scrisse il breve componimento diventato da subito una sfida e uno stimolo per chiunque l’abbia voluto volgerlo in altre lingue.
Ma l’impresa del tradurre si complica se poniamo la questione scottante del trasferire un testo dall’ottocento al nostro tempo e, ultima e suprema avventura di senso, l’interrogativo più vasto e inquietante: è possibile tradurre la poesia?